Disordine – MGP

Se arrivi dall’alto, in una giornata di sole, appena passate le Alpi, puoi scoprire una nuova armonia. Lo sguardo si distende. Il respiro affonda ed emerge largo e leggero di fronte alla descrizione ordinata degli spazi. Se arrivi dall’alto, in una giornata di sole, scopri una meravigliosa familiarità tra i moti dell’anima e il paesaggio, tra l’idea di pace e il mondo, pensi all’uomo liberato dal caos, benevolo con la natura e con se stesso. Da lontano scorgi i laghi prealpini, le colline, la grande pianura, i rettangoli colorati di verde marrone e giallo e le lunghe linee più scure che delimitano i campi coltivati, ben divisi, che lasciano spazio a gruppi isolati di case. I centri urbani si fanno sempre più densi, le vie di collegamento si estendono in ogni direzione come lunghe braccia di un unico corpo, come ramificazioni di un nucleo centrale: Milano. Mentre ci si prepara ad atterrare si scorgono i quartieri, i rioni ben delineati e le strada che si rincorrono a raggiera per convergere nella grande piazza. La percezione generale di un grande complesso urbano si unisce a un’idea di equilibrio, di organizzazione, di un progetto ben attuato. Un piccolissimo corpo ordinato all’interno dell’universo, un senso di calma, un accordo di pensieri favorevoli, un sollievo dell’anima dai pesi gravosi del giorno.
Milano, vista dall’alto é una perfetta struttura eliocentrica, intrecciata di linee larghe e strette in un disegno intelligente e composto. L’armonia degli spazi unisce ogni sezione, ogni quartiere, ogni zona, ogni parte piccola o grande. Più tardi, non appena ci metti piede, non appena atterri e cammini sui grandi viali di circonvallazione o lungo i navigli, se ti fermi al centro di una piazza o di un crocevia o in un angolo di marciapiede o in un metro quadro di giardino, l’idea di ordine si allontana così rapidamente da non poter credere che si tratti dello stesso luogo. Subito ti senti circondato da qualcosa che non riesci bene a definire. Qualcosa come un brulicare chiassoso, o il diffondersi inarrestabile di una specie sconosciuta di morbo. E posando lo sguardo in giro, scopri che è esteso su tutto il territorio. Qualcosa come un’infezione che vorresti debellare all’istante o almeno contenere con farmaci di sopravvivenza. Deglutisci rumorosamente e ancora lanci il tuo sguardo all’orizzonte e concentri il malessere momentaneo in un’unica parola: disordine.

Il disordine si annida, vive, cresce in ogni buco, come un animale nascosto, sconosciuto e troppo prolifico. Un brivido profondo corruga il suolo e si insinua verticalmente nel cuore dei passanti. Ciò che vorresti fare in quel preciso momento è risalire o almeno sollevarti da terra di qualche metro. E invece sei piantato lì e guardi, ascolti e annusi l’aria.
Agnese sentiva l’odore di sangue malato afferrarle le pareti interne delle narici ed entrare come un parassita viscido e invisibile nei tiepidi canali dell’aria.
E’ l’odore del caos, pensava.
E’ un’eco risonante di inganni e misteri.
E’ un lento disfacimento.
E’ una cartolina illustrata con preservativi appesi alle cortecce dei platani e scatolette di tonno sotto le panchine.
Tratteneva il fiato per non fare entrare quell’odore fetido, circondato da fantasie lugubri: cerimonie orrende con accoppiamenti bestiali in night-club al neon, bordelli poveri con bambine schiave, suicidi collettivi nel vuoto seguiti da resurrezioni miracolose dall’asfalto.
A Milano, si sa, ciascuno sprofonda nella marea schiumosa della notte e ogni mattina si allaccia le scarpe e la cintura.
A Milano, si sa, ciascuno sperimenta il livello del dolore, sommerso e gravido.
Gli occhi lividi dei passanti perlustrano il bitume luccicante; il terrore può essere in agguato in questo o quel dirupo. I passi incalliti si moltiplicano, incalzano, calpestano, mentre la festa sciagurata continua.
A Milano, si sa, ciascuno conosce la noia quanto la beffa del destino.
Non si rassegna a una vita misera, scarna e amara, ma continua a cercare.
E’ sempre qui quella festa sciagurata?

Agnese attraversava la strada, diretta al Palazzo delle Stelline. “Gli operatori turistici e la città “. Una nuova creazione dovrebbe separare finalmente, in modo definitivo, l’ordine dal disordine, così come all’origine del mondo Dio ha diviso la luce dalle tenebre, le terre dalle acque, le acque di sopra da quelle di sotto.
Agnese parlava di periodi ciclici di distruzione, di invasione della città e poi di ricostruzione e di riordinamento, come di tappe inconcluse del nostro inarrestabile smarrimento. L’eterna legge degli spazi. I vuoti e i pieni che si alternano e si scavalcano. Milano come un essere vivente attraversato da umori alterni, sempre alla ricerca di un significato, di un luogo rassicurante, di un terreno stabile sul quale edificare la propria casa. Milano rovinata due, tre, dieci volte e altrettante volte ritornata in vita, senza troppi rimpianti, senza troppi scrupoli, senza pentimenti.
Agnese leggeva sui libri il succedersi delle vicende opulenti e miserabili con un continuo ripetersi di vita e di morte, di splendori e di miserie. Agnese conosceva la storia, i fatti si alternavano, un ritmo naturale scandiva la guerra dalla pace, il dominatore dall’oppresso. Agnese sognava una città liberata e la immaginava sgombra, vuota, pulita, silenziosa, con i grandi viali ombreggiati, i palazzi di marmo e le torri luminose contro il cielo. Quella era la sua Milano, quella delle grandi strutture architettoniche solide e stupefacenti e a quella pensava mentre descriveva la città, dall’alto del Bus, ai turisti.

Primo itinerario:

Piazza Duomo; Duomo; Palazzo Reale; Museo del Duomo; S. Gottardo in Corte;Galleria Vitt. Emanuele II ; Piazza della Scala; Palazzo Marino; S Fedele; Casa degli Omenoni; Teatro alla Scala; Museo Teatrale; Palazzo Clerici; Palazzo della Ragione; Piazza Mercanti.

Alla fine della giornata Agnese annotava:
giornata infernale, caldo come se fosse agosto, sono sempre troppo stanca, fortunatamente tutto si scioglie nell’acqua. Ore 14 piscina, 26 vasche più esercizi di dorso e di respirazione…. Non voglio pensarci, ma é così… ancora… lei é tornata. . . . quando la vedo, quando so che é nei paraggi il mio sangue si raggela. E’ tornata la paura.

Un brivido di febbre le corse per le vene, mentre si affacciava alla finestra. Vicino al muro della chiesa, gambe sottili e curve, un vestito a brandelli che conteneva una donna. Vicino a lei, per terra, una bottiglia vuota di birra che rotolava avanti e indietro e un sacco della spazzatura semivuoto. Agnese si strinse nella spalle, era pallida e tremante. Non ce la faccio più, pensò, non sopporto che mi perseguiti, non sopporto di vederla. Tirò le tende, accese la TV, ascoltò le registrazioni della segreteria telefonica. Telefonare a Paolo, Teresa e Massimiliano.

-Sarà per sabato sera a casa di Andrea. Un compleanno per i Tori e amici dei  Tori.-
L’organizzazione della festa la distrasse per poco dall’affanno che quella presenza le causava. Si versò un po’ di vino prima di ritornare alla finestra. Era sempre là. Richiuse la tenda in fretta, abbassò la tapparella e si spostò in cucina. Durante la notte sentì dei rumori fuori dalla porta. Era un salire e scendere dalle scale, faticoso, con passi stanchi e strascicati, seguiti dallo scorrere di qualcosa di pesante. Si alzò per assicurarsi di aver chiuso bene la porta e le sembrò di sentire un ansimare contro il battente esterno. Si precipitò al balcone e sporgendosi vide che la luce del seminterrato era accesa. Erano le due quando prese il telefono e inveì contro il fratello.

– E’ ora che te ne occupi seriamente, che mi liberi da questo incubo. Come faccio a vivere con questa pazza alle calcagna. E’ tornata, sì, é tornata da qualche giorno e io pretendo che tu la venga a prendere e la porti dove sai – e concludeva cambiando completamente voce – Me lo prometti Roberto? – lo pregava – Lo hai giurato alla mamma, glielo hai giurato che ci avresti pensato tu. Te ne ricordi?-

Uscendo di casa, la mattina successiva, sentì un forte odore di spazzatura uscire dalle griglie del seminterrato, vicino alla freccia e alla scritta rimasta dal tempo della guerra: U S (uscita di sicurezza). Tutta la città odorava di pattume. Un senso di nausea s’impadronì del suo stomaco, mentre camminava. Odiava ogni cosa, ogni corpo sapeva di disperazione, di sporcizia, di sesso e di pregiudizio, di passioni e di nefandezze e anche incredibilmente di nostalgia, di un bisogno dissennato di darsi fino in fondo, di annientarsi in uno slancio non calcolato, eccessivo, estremo, fatale. Si lasciò prendere dall’angoscia che spesso la opprimeva, la torturava e le faceva perdere la testa. In balia di quello stato d’animo salì sull’autobus e si sedette di fianco al guidatore.

Secondo itinerario:

Pinacoteca Ambrosiana S. Sepolcro; Teatro romano; Casa dei Borromei; Monastero Maggiore; Museo Archeologico; S. Ambrogio; S. Vittore al Corpo; Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica; S. Maria delle Grazie; Cenacolo Vinciano; Ippodromo di S.Siro.

Alla fine della giornata Agnese annotava:

Oggi, giornata insopportabile. Spero che la questione si risolva presto. Ho chiamato il servizio GESTEC per far ripulire la cantina. Nuoto dalle 18 alle 20. L’acqua mi scioglie i muscoli e anche i fumi che mi riempiono il cervello. Il nuoto é ordine, armonia, coordinamento, sincronismo tra braccia, gambe e respiro. Quando nuoto mi sento liberata. La mia anima finalmente si purifica e galleggia dentro un corpo leggero.

Arrivarono dopo due giorni a ripulire la cantina. Uno stanzone lungo in fondo alle scale. Pochissima luce dalla griglia che si affacciava sul marciapiede. Sulla parete un quadro della Madonna, avvolta in un manto azzurro, che schiaccia il Serpente sotto i piedi, le mani tese in avanti, lo sguardo severo dal quale si diffondevano i raggi di luce. Sul pavimento tante riviste ingialliti, all’altezza degli occhi due corde che attraversavano lo spazio, sulle quali penzolavano vestiti e stracci. Un materasso era appoggiato in un angolo, sopra erano piegati altri giornali e teli di nylon. Tutto intorno sacchi della spazzatura ben chiusi dall’alto e così zeppi che dai lati si erano formati dei tagli dai quali usciva ogni tipo di immondizia, solida o molle. L’aria era spessa dell’odore di marcio, di muffa e di urina.

– Sapete già come fare – aveva detto Agnese agli uomini in tuta – Non voglio sapere niente. Ripulite tutto.- Non era scesa in cantina. Lo spettacolo era indecente, non poteva sopportarlo. Sul muro erano scarabocchiate alcune parole con la matita rossa:
“ Oh, Angelo di Dio, io ti prego, non mi abbandonare. “

Le bottiglie erano dovunque. Sul pavimento, sul tavolo, allineate sullo scaffale, intorno al letto, nel lavandino, sul fornello, fuori dalla porta e sulle scale. Centinaia di bottiglie, piene e vuote. Bottiglie di birra, di vino, di whisky, vasi di marmellata, cartoni di latte e bottiglie di acqua benedetta. La spargeva dappertutto, per tenere lontano il Diavolo. Inzuppava gli abiti e le lenzuola, la beveva e si bagnava i capelli. Agnese aveva allungato una buona mancia agli uomini. Avevano eseguito il lavoro senza troppi commenti e ora si allontanavano, lasciando dietro di loro lunghe strisce bianche di polvere disinfettante.

Erano le 14,30 quando Agnese si tuffo in piscina e soffiò tutta la sua rabbia dentro l’acqua. A sera scriveva:

L’acqua mi avvolge e mi accarezza. Ogni parte del mio corpo si lascia andare, sicura di essere accolta benevolmente. I raggi del sole che entrano dalle finestre colpiscono direttamente la superficie e si allargano in una ragnatela luminosa. Mi sento un animale acquatico che nuota dentro una rete. Ho deciso di non pensarci…. ma come posso fare…. Lei era fuori dal negozio, quando sono entrata. Guardava la vetrina dei bambini, fissava qualcosa in particolare. Non mi aveva visto. Poi é entrata. Si era messa il cappello grigio con la fascia nera, ma i capelli uscivano da ogni parte a ciuffi aridi e sporchi. Aveva il rossetto sulle labbra e sulle guance e io la ricordai quando usciva alla sera e la mamma le urlava dietro ‘togliti quel rossetto’.

Agnese arretrò dietro i cappotti in saldo, mentre la commessa si era avvicinata decisa, con la chiara intenzione di mandarla fuori. Lei indicò qualcosa nella vetrina e disse sorridendo:

– Compro quello! –  Il dito indicava un bambolotto vestito da neonato.

– Cosa? – chiese la commessa con aria sprezzante.

– Quello lì! – ripeté lei, ancora sorridendo e si avvicinò di più alla vetrina.

La commessa con le mani avanti, come per fermarla, assunse un tono fermo e le intimò:

-Non é in vendita, quello. Non é in vendita! –

Subito il sorriso sulle sue guance si spense e il viso sembrò precipitare in una smorfia tragica. Agnese era quasi senza respiro, con il cuore che batteva in testa e le mani tremanti. Non riusciva più a pensare in quelle condizioni, si sentiva assolutamente sopraffatta dal panico, senza possibilità di fuga e di salvezza.

Terzo itinerario

Piazza Cordusio; Via Broletto; Via Dante; Castello Sforzesco; Parco; Acquario Civico; Arena; Palazzo dell’Arte; Arco della Pace; Fiera Campionaria.

Agnese respirava l’aria pulita della pioggia. Milano, dopo un temporale, diventa lucida e profumata. I tronchi degli alberi sembrano nascere improvvisamente dal grigio delle strade e il verde cresce a dismisura e si apre a nuovi abbracci. Solo i cani gironzolano nervosi e insoddisfatti, privati delle loro puzze abituali.

Erano le nove di sera quando Agnese uscì di casa. La festa era a casa di Andrea in Via Cesare Battisti. Un vecchio e bellissimo appartamento di famiglia: 250 mq nei quali Andrea, scapolo giurato, viveva con la madre e la zia. Si festeggiavano i compleanni di quattro amici nati in maggio come Agnese. Nella sala centrale era allestita una piccola orchestra con pianoforte, un contrabbasso, due chitarre e bongos, in quella sulla destra entrando, un ricco buffè salato al quale tutti avevano contribuito, nella terza, con ingresso dalla sala grande, erano allineati i dolci, una serie di torte con candele, su un tavolo lungo, messo d’angolo in mezzo a tante poltrone.

Ogni festeggiato aveva esteso l’invito ad altri amici, in più Andrea aveva colto l’occasione per invitare i vicini di casa del lago e gli ex compagni di Brera. A conti fatti c’erano un centinaio di persone. Al microfono si alternavano cantanti improvvisati, cori, Manuela con il suo repertorio di romanze, suo figlio alla chitarra e Giorgio, il raccontatore di barzellette. Ai festeggiati fu chiesto di raccontare un fatto, un viaggio, un film, un libro o altro. Cominciarono presto.
Il primo commentò l’ultimo film di Woody Allen. Il secondo parlò di Las Vegas dove era stato due mesi  prima: delle sale da gioco, degli spettacoli di spogliarello, dei suicidi, del cibo, delle Wedding Chapels. Arrivato in fondo alla sua storia, fu assalito da migliaia di domande. Poi fu il turno di Agnese che imbarazzatissima, riportò un rituale degli Ebrei Ashkenaziti che aveva letto pochi giorni prima. Il Rabbino aveva radunato gli uomini attorno a sé e le donne a formare un cerchio esterno. Erano vicini alle rive di un fiume. Il Rabbino esortava a pensare ai rimpianti dell’anno trascorso, a tutti gli atti malevoli, ai pensieri ignobili, all’invidia, all’orgoglio e alle colpe e diceva loro di lasciarli cadere, di gettar via i pensieri indegni. Così fecero gettando i pezzi da pane che avevano in tasca nell’acqua e rivoltando le tasche in segno di liberazione . Poi aggiunse una citazione, così come la ricordava.

-Noi non abbiamo qui una città permanente, ma ne cerchiamo una che verrà. Per questo Dio stesso non si vergogna di essere chiamato nostro Dio. Perché ci ha preparato una città.- Seguì un silenzio di stupore nel quale subito si inserì Paolo che raccontò un aneddoto, tenendo tutto l’uditorio in sospeso, come solo lui era capace di fare.

– Giuro che é un fatto vero – precisava – un fatto raccolto, scritto e analizzato dal mio psicanalista. Ah! Ah! Ah! – Aspettò il silenzio con la sicurezza dell’attore e cominciò:

Un tizio era perseguitato da una paura che non lo faceva né vivere né dormire. Dopo tanto soffrire, si decise ad andare dal medico per confessargli il suo tormento: aveva l’assoluta certezza che sarebbe morto divorato da un coccodrillo. Il medico lo ascoltò e subito lo rassicurò. – La sua paura non ha fondamento reale – gli disse – i coccodrilli vivono in luoghi ben lontani e non migrano. – L’uomo ritornò dal medico il mese successivo, sempre in balia del suo terrore e ogni volta il medico lo tranquillizzò, sorridendo. -Non é possibile – gli ripeteva – stia tranquillo e non ci pensi più. La sua é solo un’ossessione facilmente superabile con il farmaco che le ho prescritto.-

Ancora il paziente tornò una terza volta, per trovare un sollievo, sempre più ansioso e terrorizzato. Il medico lo convinse che era solo una questione di stress e che dopo un periodo di vacanza quel pensiero opprimente sarebbe sparito. Non seppe più nulla, ma dopo alcuni mesi, con grande stupore, lesse sul giornale che un uomo era stato trovato morto, dilaniato, nella vasca dei coccodrilli, nell’acquario della città.

I commenti furono esplosivi.

-Ma é vecchia! La sa ormai tutto il mondo! –

-Assomiglia a quella dello scorpione. Te lo ricordi? Nel film…. –

-Mi hai deluso…. Non é al tuo livello! …-

-L’enigma del coccodrillo – sussurrò Agnese all’orecchio di Paolo, mentre ballavano. Sei sempre troppo oscuro e sibillino. Cosa vuoi dire? Che il destino ci perseguita e che ciò che é scritto accadrà senz’altro, in ogni caso, malgrado noi?-

– No, non é così, o meglio non è solo così. E’ che la paura é più forte e vince, ad ogni costo. La paura non ti lascia stare, non può, vuole uscire per se stessa, non come un fantasma, come un fatto. Vuole esistere e non ti dà pace, finché non la fai vivere. –

La festa proseguì fino a tarda notte. Nelle annotazioni serali Agnese scriveva.
Rientro alle tre del mattino. Mi ha accompagnato Paolo. E’ successo qualcosa di incredibile. Sono sconvolta. Lei era là. E’ sbucata da dietro la tenda, improvvisamente. Cerco di ricordare, ma ogni cosa é confusa nella mia testa. 

Sento tutto il dolore che lei si porta dentro. Guai se si avvicina troppo.
Tutto era successo nel pieno della festa. Erano circa le 11,30 quando lei sbucò dallo sgabuzzino. Era salita attraverso le scale dalla porta di servizio fino al nascondiglio. Per più di un’ora non osò andare oltre. Poi riprese coraggio e di colpo si nascose dietro le tende. Paolo vide la sua ombra contro i vetri e la invitò a uscire. Si fece avanti, in mezzo alla sala e tutti si fermarono e tacquero. In un silenzio glaciale disse:

-Niente, sono qui per volontà mia. Ciò riguarda la mia vita privata…. Non c’é niente di indecente o di disonesto nei miei interessi privati. – Agnese sentì il desiderio di sprofondare sotto terra o almeno di nascondersi scivolando nelle fessure del parquet. Desiderò con tutta l’anima di essere un’altra. Rimase immobile, sapeva che se si fosse voltata, o se avesse fatto un solo passo, tutti l’avrebbero guardata e avrebbero capito. Sarebbe morta sul colpo per la vergogna.

-Ma come mai proprio qui? Cosa le succede? –

– Possiamo aiutarla? Qualche interesse particolare? –

– Non é possibile! Se é venuta qui ci sarà una ragione?! – Le domande furono tante e la risposta sempre quella.

-Niente, proprio niente. Solo interessi privati. Sono qui per… Non ho nulla di cui vergognarmi.-

Accettò vino e dolci, poi si lasciò avvicinare da Paolo che la prese sotto braccio, le parlò e la condusse alla porta.

Scusate signora, ma qui si balla e se lei non vuole ballare, dovrà andarsene a casa. Se vuole
l’accompagno. Se ha perso la strada…- La accompagnò fino al taxi e le pagò la corsa, senza sapere per dove.

Quarto itinerario

S. Giuseppe; S. M. del Carmine; Palazzo di Brera; Pinacoteca di Brera; S. Marco; S. Simpliciano; S. M. Incoronata; Cimitero Monumentale; Ospedale Maggiore.

Milano di notte può essere attraversata solo in auto. Dal vetro del finestrino la città scorre, come su una pellicola nera. I palazzi accendono le luci una sopra l’altra. La gente seduta in poltrona guarda la TV, mangia, dorme e non ha pace. Fuori nelle strade rimane il vizio, l’insoddisfazione, il peccato. Dentro, la paura. Arriva di notte, quando può entrare e uscire a suo piacimento, quando il filo invisibile che lega la testa ai piedi si scopre e mette in corto circuito il nocciolo incandescente che vaga all’altezza del petto. Allora l’incubo spadroneggia in un territorio senza barriere, senza filtro, senza scudo protettivo e porta con sé tutto il disordine della città.

Agnese si svegliò di soprassalto, grondava di sudore, muovendosi appena sentì il cuscino fradicio e la fronte gocciolante. Avvertì un senso di gelo che non apparteneva al sogno, ma alla realtà. Trasalì in un brivido, prima di accorgersi che c’era qualcuno nel suo letto. Avrebbe voluto invocare aiuto, ma il grido non trovò uscita. I muscoli erano attanagliati dall’impotenza. Sentì le dita di ghiaccio avvicinarsi, la mano afferrarle il polso e le labbra gelide premute contro le sue. Non si mosse. Qualcuno scivolò giù dal letto e strisciò sul pavimento fino al corridoio. Rimase in ascolto. Pensò alla porta. Ricordava di averla chiusa con la sicurezza, le sembrava impossibile non averlo fatto. Aspettò ancora un po’, poi corse all’ingresso: c’era un solo giro di chiave. Chiamò il fratello e pianse a lungo al telefono.

– Verrò domani – le disse Roberto – Te lo prometto. –

Rimase sotto la doccia fino a consumare tutta l’acqua calda, quindi si buttò sul letto. Una notte ingrata e un risveglio senza speranza. La città era così caotica quella mattina da non poterla sopportare, neppure le meraviglie architettoniche riuscirono ad allontanare il senso di smarrimento, e di agitazione che la tormentavano.

Quinto itinerario:

Museo Poldi Pezzoli; Palazzo Bagatti-Valsecchi; Museo di Milano; Museo delRisorgimento; Archi di Porta Nuova; S. Angelo; Piazza della Repubblica; StazioneCentrale; Villa Mirabello; Villaggio dei Giornalisti; Bicocca.

Rinunciò alla piscina, era troppo stanca. Rientrò a casa con l’intenzione di andare a letto presto. Aprì la porta con sospetto e subito sentì qualcosa di scomposto nell’aria. Vide i tappeti sollevati, i cuscini del divano sgualciti, corse per le stanze, trovò il gas acceso e un bambolotto nel lavandino del bagno. Presa da una frenesia incontrollata, cominciò a rimettere tutto a posto. Passò in rassegna tutti i cassetti, le ante dell’armadio e i mobiletti della cucina. Sbarrò la porta e accese la TV. Prima di spegnere la luce, sul diario annotò:
C’é una bambina che piange dentro di me. Io ritmo in consonanza con lei. Disordine, disordine, disordine. Non sai fare altro che disordine. Non ci devi entrare nel mio territorio.

Roberto arrivò il giorno dopo, verso sera. Era scocciato e nervoso. Sempre gli stessi problemi che si ripetevano da anni.

– Non sono potuto venire prima – disse con voce decisa, entrando – Lo sai che lavoro come un cane. Ho fatto l’ultima consegna proprio adesso.- Percorse il corridoio cercando la sorella.
Cosa credi che io me la spassi? Che passi il mio tempo a grattarmi il culo? Un’isola deserta, una capanna e un albero di banane. Questo aspetto. Ma verrà agosto! »
Fece il giro della casa prima di accorgersi che Agnese era in piedi davanti allo specchio in sala.

-Ah sei qui !? – La guardò appena e subito spalancò di occhi, spaventato.

– Ma cosa hai fatto! Cosa ti stai mettendo addosso. Sono stracci! E quel cappello? Agnese smettila. Non devi esagerare nelle cose. E’ diventata un’ossessione la tua. Lasciala stare. Non ti fa niente – Agnese non ascoltava, ma continuava con un ritmo lentissimo a sistemarsi il cappello

– Me lo ha dato lei… – disse con voce infantile – anche i vestiti. . me li ha portati lei. –

– Ah! Te li ha portati? – aggiunse il fratello sempre più nervoso – Ah! E’ venuta di nuovo. – La guardava e si preoccupava sempre più.

Agnese era pallida, con gli occhi incavati e le labbra sbavate di rosso. I capelli scompigliati, sotto il cappello, la magrezza del corpo traspariva sotto gli stracci, nella sua struttura scheletrica.

– Allora é venuta?!- insisteva Roberto.

– Hai sentito il temporale, questa notte?- disse Agnese con un filo di voce  – Era un segno, doveva succedere, quello era il preavviso. Voleva che io mi occupassi di lei e l’ho fatto, l’ho abbracciata così forte… l`ho stretta, così forte. Ho stretto forte quel foulard della mamma che portava sempre al collo. Era una bambina cattiva. Un fiore del diavolo con le radici troppo lunghe. Non si lasciava pulire. Non mi ascoltava. Le dicevo “quella bambola non si può lavare, non si può lavare.”-

– Agnese!- gridò il fratello – Ma che dici, torna in te Agnese. La porto via subito, ho già parlato al direttore. Ci aspetta. Questa volta la sorveglieranno giorno e notte. Ma lei dové? E’ sotto eh? Guardami Agnese. Dimmi che é tornata sotto?!-

Agnese prese la spazzola e cercò di sistemarsi i capelli, senza girarsi, sempre davanti allo specchio. La spazzola le cadde a terra. Roberto la raccolse.

-E’ meglio che ti fai una bella doccia. Eh? Ora ti preparo l’acqua. La fai una bella doccia? Ha fatto caldo oggi. Forse é il caldo. Il cambio di stagione ti ha sempre dato fastidio. –

Si precipitò in bagno, aprì l’acqua e vide con la coda dell’occhio qualcosa sul letto. Entrò, erano gli abiti di Agnese ben appoggiati così da formare una figura. I cuscini tutti intorno la proteggevano. Ritornò indietro subito, aveva paura di lasciarla sola, anche per un momento.

-Cos’hai fatto Agnese! Non dovevi farlo! Ti ricordi… – e prese a singhiozzare

– Ti ricordi te lo avevo detto. Lasciala stare. Lasciala stare dov’é. Non pensarci troppo. Lasciala là! Tienila lontana! – Il fratello abbracciò Agnese e i singhiozzi risuonarono forti nella stanza. Agnese non si mosse. -Sei pronta? – le chiese trattenendo il pianto – Dobbiamo andare.-

Dai vetri della macchina la città sembrava ordinata e silenziosa, la gente camminava composta sui marciapiedi, le auto viaggiavano ad andatura moderata. Le luci verdi dei ristoranti e dei bar si accendevano. Quelle dei negozi si spegnevano. Gli uomini con la borsa sotto il braccio ritornavano a casa. I figli li aspettavano affacciati al balcone.
Agnese si sentiva calma, come se un’improvvisa marea l’avesse inondata, coprendo le dune, le rocce e i pesci distesi sulla riva. Un grande abbraccio dentro un’acqua benefica.

Finalmente! L’acqua che placa e ristora.

Guardava fuori, era soddisfatta, tutto era a posto. Sentiva in fondo allo sguardo un sentimento lontano e conosciuto, qualcosa di prevedibile, atteso per anni. Era accaduto. Non sapeva bene che cosa.

Si sistemò il cappello, che le era scivolato indietro, si lisciò i vestiti con le mani aperte e mentre continuava a riassettarsi si dondolava leggermente sul sedile e sorrideva alla città, alle strade, ai palazzi, alla gente, agli alberi che scorrevano lentamente ai lati dell’automobile.

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