L’orologio segnava le otto e dieci. Circa nove ore all’inizio della cerimonia. Carlo sorrise soddisfatto e accarezzò il gatto.
“Scusami se ti disturbo, Piripicchio” gli disse, e tolse le coperte. Il gatto si infilò tra le sbarre del letto ortopedico e saltò sul pavimento. Lui si aggrappò alle spondine, sollevò la schiena e ricadde sul materasso.
Si girò sul fianco e suonò il campanello da tavolo.
“Aneta, sei sorda?” gridò con voce stentorea.
La badante arrivò di corsa, facendo tremare il parquet. Il gatto fuggì in corridoio.
“Professore, buongiorno. Come andiamo questa mattina?”
“Sandra è stata avvertita?”
“Di che cosa?”
“Ma della telefonata!”
“Quale telefonata?”
“La telefonata da Oslo.”
“Quando l’ha ricevuta?”
“Possibile che non ti ricordi nulla? Ieri sera, saranno state le undici. Hai risposto tu e mi hai passato la chiamata. Ti sei anche congratulata.”
“Per che cosa, signore?”
“Roba da pazzi.” sospirò Carlo, e scosse la testa. “Non ricordi che mi hanno conferito il premio Nobel?”
La badante strabuzzò gli occhi.
“Professore, è un sogno?”
“Non dire sciocchezze.”
Il professore scoreggiò.
“Venga sulla comoda.” disse la badante, e lo aiutò a scendere dal letto.
Lui sedette sul vaso, le gambe nude, il cazzo floscio tra le cosce. Aneta diede un calcio al micio che voleva saltare su Carlo mentre faceva i suoi bisogni.
“Cerca il frac” le disse, e scoreggiò di nuovo. La puzza di cacca riempì la camera. La badante gli mise una mano sulla spalla.
“Bravo, professore, così non c’è bisogno della purga. Ma perché vuole il frac?”
“Benedetta Aneta… secondo te come dovrei vestirmi per ricevere il Premio Nobel?”
Lei scosse la testa e andò a svuotare il vaso. Quando ritornò lui era in piedi, accanto alla parete.
“Per l’amor del cielo, – gridò Aneta – stia fermo!”
Gli infilò pannolone e calzoni. Lui si appoggiò al deambulatore e ciabattò fino alla cucina dove sedette davanti a caffelatte e brioche.
“Chiama Sandra” disse alla badante.
Lei compose il numero e gli passò il telefono.
“Buongiorno, papà. Come va?” rispose Sandra.
Carlo sollevò il mento e raddrizzò le spalle.
“Mi hanno conferito il Nobel per la Medicina.”
“Non ho capito.”
“Il Nobel per la medicina mi hanno dato. Capito?”
“Te lo sei sognato.”
“No!”
“Passami Aneta.”
“Potresti anche fare lo sforzo di congratularti con tuo padre» disse, e diede il cellulare alla badante.
“Aneta, che succede?” chiese Sandra.
Lei si spostò in corridoio.
“Niente, signora, non si preoccupi. Sta bene.”
“Pensa che gli abbiano dato il Nobel.”
“Sì.”
“E secondo te sta bene?”
“Sì, signora.”
“Sarò lì tra mezz’ora.”
Quando Sandra arrivò Carlo dormiva sul tavolo della cucina, la testa appoggiata sulle braccia conserte. Lo svegliò il cicaleccio tra figlia e badante. Sollevò il capo.
“Che ci fai qui?” chiese a Sandra.
“Mi hai telefonato, papà.”
“Per dirti cosa?”
Sandra e Aneta si scambiarono un’occhiata. Carlo si tolse una caccola dal naso.
“Ma certo! Hai prenotato i posti per Stoccolma?”
“Papà… È una bella giornata. Andiamo al parco?”
“Ma che parco! A che ora è il volo?”
Sandra voltò la schiena al padre e uscì dalla cucina.
“Potresti anche rispondermi” le gridò Carlo. Provò ad alzarsi e ricadde sulla sedia.
“Dove vuole andare professore?” chiese Aneta.
“Nello studio.”
“Che deve fare?”
“Preparare il discorso.”
La badante prese la sedia a rotelle.
“Ci vado da solo, – disse lui – passami le stampelle.”
Aneta lo accontentò. Nel corridoio Sandra era seduta sul divanetto. Parlava al cellulare. Quando vide il padre interruppe la telefonata.
“Papà devo correre in ufficio…”
“Bene.”
“Mi dispiace…”
“A me no.”
Sandra fece spallucce e se ne andò.
Aneta accompagnò Carlo nello studio. Gli diede carta e penna. Lui cominciò a scarabocchiare. Piripicchio si mise a camminare sul foglio.
“Per favore spostati.” gli disse Carlo.
Aneta prese il gatto in braccio.
“Lascialo.”
“Come vuole, – rispose Aneta – vado a preparare la camomilla.” E andò in cucina.
“La camomilla… Piripicchio, ma chi la beve quella schifezza?”
Il micio strusciò il muso sul viso di Carlo.
“Dicono che ho sognato. Tu che ne pensi?”
Piripicchio si acciambellò sulla scrivania e si mise a ronfare.
Aneta ritornò con la camomilla.
“Beva professore, le fa bene un po’ di roba calda.”
“Non mi piace…”
“Ma le fa bene.”
Lui buttò giù un sorso, poi un altro.
“Buona, che ci hai messo dentro?”
“Un po’ di zucchero, tanto lei il diabete non ce l’ha.”
“Brava, brava. Adesso però lasciami lavorare.”
Aneta uscì dallo studio e si sedette sul divanetto del corridoio. Tirò fuori dal grembiule lo smartphone e si inchiodò allo schermo.
Carlo accarezzò il micio che strusciò il muso sulla mano.
“Dimmi una cosa, Piripicchio… tu la telefonata di questa notte l’hai sentita?”
Il gatto ritornò ad acciambellarsi accanto al foglio.
“Dicono che ho sognato. Sono anni che aspetto il premio Nobel e ora che me lo hanno conferito quelle due pensano che io stia sognando. Da pazzi. Tu che ne pensi?”
Piripicchio aveva gli occhi chiusi, le fusa si erano fatte fievoli.
“Ti stai addormentando?”
Il micio aprì gli occhi e lo guardò.
“Lo sai che quando ero piccolo sognai di essere diventato un gattone soriano grande grande con dei baffoni che arrivavano fino a terra? Se tu l’avessi visto te la saresti fatta addosso dallo spavento. Camminavo sul marciapiede sotto casa e tutti si scostavano. Una signora anziana finì in mezzo alla strada e per poco una macchina l’ammazzava. Io continuai a camminare con la coda ritta, lo sguardo proteso in avanti. Arrivai all’angolo della via… È lungo il viaggio fino a Stoccolma, Sandra non mi aiuta, Aneta è fuori discussione, mica posso farmi accompagnare alla cerimonia dalla badante… Piripicchio, sai che accadde? Mi si parò davanti un cagnaccio più grande di me. Ringhiava, aveva la bava alla bocca. Urlai. Scesi dal letto. Mi misi a correre per la casa a quattro zampe. Quando mamma cercò di calmarmi feci la gobba e le soffiai sulla faccia. Poi arrivò papà e mi strinse tra le braccia. Se papà fosse vivo si congratulerebbe per il Nobel, quanti anni sono che è morto? venti, trenta, boh… Allora, Piripicchio, papà disse che avevo fatto un brutto sogno. Io non ricordavo nulla. Me lo raccontarono il giorno dopo. Ma dimmi, secondo te, il Nobel l’ho sognato?”
Piripicchio si era addormentato. Carlo sorrise.
“Ti va bene la vita, eh? Sai che ti dico? Mi vado a fare un sonnellino anch’io.” Sbadigliò. “ Sarà stata la camomilla… Manderò un telegramma al Comitato… per ragioni di forza maggiore impossibilitato a partecipare a cerimonia… capiranno. Se si offendono pazienza. Aspettano che uno sia più di là che di qua per riconoscerne i meriti.”
Chiamò Aneta.
“Vado a letto”, – le disse – questa notte ho dormito male.”
La badante lo accompagnò in camera, gli rimboccò le coperte, tirò su le spondine. Carlo sbadigliò.
“Chiama Sandra. Dille che non vado a Stoccolma. Quando mi sveglio mando io un telegramma al Comitato.”
Aneta assentì. Piripicchio entrò in camera, si infilò tra le sbarre del letto, e si addormentò ai piedi di Carlo ronfando.